Career wellbeing: la sfida del business passa anche da qui

Nell’arco della nostra vita c’è una sola cosa che occupa più tempo di quello che dedichiamo alla sfera lavorativa, ed è il sono. Considerando l’impegno professionale di un lavoratore medio, c’è chi ha provato a calcolare il tempo investito nel corso di una carriera, e il dato non è privo di un certo impatto: sono circa 82mila le ore che durante la nostra vita dedichiamo al lavoro, molte di più se consideriamo i workhaolic che lavorano anche 80 ore a settimana. Bastano questi pochi numeri a far capire quale impatto possa avere la sfera professionale sulla vita di una persona e quanto sia necessario che le due parti si integrino e non entrino in conflitto.
22/12/2022

Nell’arco della nostra vita c’è una sola cosa che occupa più tempo di quello che dedichiamo alla sfera lavorativa, ed è il sonno. Considerando l’impegno professionale di un lavoratore medio, c’è chi ha provato a calcolare il tempo investito nel corso di una carriera, e il dato non è privo di un certo impatto: sono circa 82mila le ore che durante la nostra vita dedichiamo al lavoro, molte di più se consideriamo i workhaolic, che lavorano anche 80 ore a settimana. Bastano questi pochi numeri a far capire quale impatto possa avere la sfera professionale sulla vita di una persona e quanto sia necessario che le due parti si integrino e non entrino in conflitto, per evitare effetti negativi sulla salute dell’individuo e sui risultati di business. Gallup, la società di consulenza americana che dal 1935 monitora i diversi aspetti del mondo contemporaneo, ogni anno realizza un’indagine intitolata “State Of The Global Workplace”, coinvolgendo lavoratori di oltre 160 Paesi di tutte le aree geografiche. Il sottotitolo è esemplificativo dell’obiettivo della ricerca: “Discover How Employees Around The World Experience Life and Work”. La premessa dello studio è molto concreta: secondo stime effettuate da vari centri di ricerca, una business unit con lavoratori ingaggiati e che sperimentano un rapporto positivo con la propria organizzazione ha profitti mediamente più alti del 23%. A livello globale, un low engagement dei dipendenti costa circa 7,8 trilioni di dollari e l’11% del Pil. Lavoratori soddisfatti sono quindi un vantaggio per tutti, ma qual è il sentiment a questo proposito nel mondo del lavoro globale?

 

La pandemia, un punto di svolta

I dati di Gallup mostrano che il 21% dei lavoratori a livello globale si sente positivamente ingaggiato nel proprio ruolo professionale. Un dato in crescita dell’1% rispetto al 2020, ma ancora al di sotto del 2019, che aveva fatto registrare un picco della soddisfazione professionale. Il Covid, quindi, ha davvero determinato uno spartiacque nella percezione e nel benessere psicofisico delle persone, accentuando timori e preoccupazioni che prima restavano sullo sfondo. Il dato complessivo non rappresenta appieno le varie specificità territoriali: in Europa la percentuale scende al 14%, con l’Italia che da questo punto di vista è il fanalino di coda del vecchio continente, con solo il 4% di lavoratori che si dichiara davvero coinvolto ed entusiasta del proprio impiego. I lavoratori europei raccontano poi di aver sperimentato stress nel giorno precedente l’intervista (39%), preoccupazione (37%), tristezza (21%), situazioni emotive che possono facilmente sfociare nel burnout, quello che l'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce una “sindrome derivante da stress cronico associato al contesto lavorativo, che non riesce ad essere ben gestito”. Sempre secondo Gallup, la principale causa scatenante il burnout è un trattamento iniquo subito in azienda, seguito da carichi di lavoro eccessivi, comunicazione non trasparente, mancanza di supporto da parte dei manager, pressioni insostenibili per rispettare le scadenze. Tutti fenomeni riconducibili a un’unica matrice: un management poco adeguato. “La soluzione è semplice”, si legge nel rapporto americano. “Servono leader migliori, migliori ascoltatori, migliori coach e migliori collaboratori”. Perché, si chiede poi l’inchiesta, in tutti questi anni è stata sviluppata una reportistica che dà conto e misura i progressi fatti dalle organizzazioni in tema di sostenibilità ambientale, di impatto sociale e di governance, ma che quando si tratta di dipendenti misura solo il livello salariale e il dato anagrafico?

 

Serve una visione olistica


“Le organizzazioni devono cominciare a considerare le persone nella loro globalità, non solo come lavoratori, e i leader devono aggiungere strumenti di misurazione del wellbeing nella loro dashboard dei KPI”, suggeriscono ancora gli esperti di Gallup, che arrivano a individuare 5 sfere che devono essere valutate e valorizzate: il Career Wellbeing, cioè la vera e propria soddisfazione professionale, che però dev’essere integrata con il Social Wellbeing (avere relazioni personali significative), il Financial Wellbeing (non avere preoccupazioni economiche), il Physical Wellbeing, (godere di una buona salute) e, infine, il Community Wellbeing, (la possibilità di essere integrati e avere relazioni positive con la propria comunità di riferimento). Per questo l’invito alle organizzazioni è quello di dare vita a una employee experience che punti alla crescita professionale e personale, costruendo percorsi di formazione che aiutino i manager nel percorso “from boss to coach”, rendendo il wellbeing parte integrante del processo di sviluppo e ingrediente fondamentale per creare relazioni di fiducia. Non solo per una giusta attenzione verso il benessere della persona, ma anche per questioni di business: avere un dipendente felice è la migliore garanzia per ottenere risultati positivi e la migliore assicurazione contro i fenomeni del momento, Great Resignation e Quiet Quitting in testa. 

 

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